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Il procedimento denominato Project Mirror Intelligence – elaborato dal gruppo Tusci@network – ha l’obiettivo di fornire al navigatore una selezione ragionata di informazioni di natura economico–statistica in grado di riflettere la situazione contingente del “Sistema–Italia”.

L’Instant Book “Start PMI” ha cadenza mensile. I dati contenuti in questo numero sono aggiornati al 31/3/2020.

Autori:

Riccardo Cerulli

Francesco Cacchiarelli

INDICE

1. Congiuntura Confcommercio – Ufficio Studi Confcommercio – marzo 2020
2. Fiducia dei consumatori e delle imprese – ISTAT – marzo 2020
3. Sostenibilità e investimenti: l’Europa e l’Italia – Focus N. 7 Servizi Studi BNL – 13 marzo 2020
4. Indagine rapida sulla produzione industriale – Centro Studi Confindustria – 3 marzo 2020
5. Integrazione tra registro esteso delle principali variabili economiche delle imprese “Frame SBS” e l’indagine campionaria sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione “ICT” – anno di riferimento 2018 – ISTAT – 17 marzo 2020
6. GreenItaly 2020 – Imprese e occupati green–nord – Fondazione Symbola – 5 marzo 2020
7. Economia e Mercati Finanziari-Creditizi (sintesi) – ABI – Marzo 2020

 

ESTRATTO

3. Sostenibilità e investimenti: l’Europa e l’Italia – Focus N. 7 Servizi Studi BNL – 13 marzo 2020
L’economia italiana riparte se riusciamo tutti insieme a mitigare l’urto dell’epidemia.
Le risorse per reagire ci sono. Dalle strutture ospedaliere che si riorganizzano velocemente con la flessibilità delle migliori PMI. Dal capitale umano di medici, paramedici e ricercatori. Alla ricchezza di famiglie a cui dare orizzonti di sostenibilità.
La crescente attenzione nei confronti della sostenibilità sta cambiando la finanza internazionale. In Europa gli investimenti SRI ammontano a oltre € 22mila mld di euro.
Tra i grandi paesi europei prevale il Regno Unito con asset gestiti secondo criteri di sostenibilità per oltre €7.000 mld, seguito da: Paesi Bassi (€3.900 mld), Francia (€2.800 mld) e Germania (2.500 mld). In Italia gli investimenti SRI hanno raggiunto quasi i €2.000 mld. Il gap con i principali paesi europei potrebbe essere ridotto nei prossimi anni se le indicazioni contenute nei piani strategici dei grandi investitori verranno rispettate.
Editoriale – Le risorse per reagire
L’economia riparte se riusciamo a mitigare la diffusione epidemica entro limiti compatibili con una gestione praticabile della sanità. A cominciare da quella trincea di eccellenza rappresentata dal circuito delle terapie intensive. Per ottenere ciò serve il concorso di tutti. Nella sua drammatica complessità, la crisi che stiamo vivendo ci rammenta alcune semplici verità. In un mondo globalizzato – forse un po’ troppo globalizzato – non ci possono essere soluzioni parziali a sfide generali.
La gestione della complessità richiede competenza e senso del limite. Come ha scritto Kenneth Rogoff, ci sono momenti in cui sono più importanti “i summit sanitari”.
Nella stagione della quarantena sanitaria la parola passa al Dr. Tedros Adhanom Ghebreyesus, il Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e ai suoi competenti collaboratori. Che ci rammentano regole semplici come lavarci le mani. Che ci indicano protocolli da seguire. Che ci richiamano il valore della cooperazione. Non è un caso che ad aiutarci in questo complicato tornante della storia sia un organismo multilaterale, l’OMS, nato nel 1948 sulle macerie della Seconda Guerra Mondiale.
Multilateralità, competenza, cooperazione, semplicità. Valori da riscoprire. In Europa, una lezione da imparare, quando la luce sarà tornata, per provare a semplificare le regole comunitarie. Se non anche per riscriverle profondamente.
In Italia una prima lezione dell’epidemia ci parla di un Paese che sa reagire. E reagisce a cominciare dal settore della sanità. Un settore che, più di altri grandi paesi europei, ha segnato una riduzione di risorse. Per dare un paio di numeri, dai tempi della SARS al 2017, il numero di letti per degenza, per centomila abitanti, è diminuito da 367 a 267 unità in Italia contro un calo da 381 a 309 in Francia. Nonostante i tagli, il sistema sanitario italiano sta reagendo mostrando una capacità di adattamento che all’economista ricorda il dinamismo tipico delle piccole e medie imprese italiane.
I piccoli e medi ospedali italiani, insieme ai grandi nosocomi, velocemente si riorganizzano. A partire dall’esempio lombardo, superano inciampi burocratici.
Invertono anni di inazione sul fronte dell’acquisizione di nuovo capitale umano e tecnologico. Aprono nuovi padiglioni per dare a ciascun paziente critico una possibilità di salvezza. Anche per quella fascia più anziana o più debole, la cui perdita non è meno grave di altre.
Al fianco della sanità c’è l’industria, chiamata per un po’ a ridurre al minimo i giri del motore. Ma non in quei settori strategici impegnati in poche settimane ad attivare produzioni e ricerche focalizzate nella guerra al virus. E alcuni primi risultati, di rilievo mondiale, già si colgono. Ex post, quando l’ora più buia sarà finita, ci sarà modo per ripensare il modello di internazionalizzazione delle catene del valore. Applicando quel banale principio di precauzione che si chiama diversificazione del rischio. E, quindi, provvedendo alla ricollocazione nazionale di uno zoccolo duro di produzioni strategiche, necessarie per il rispetto di bisogni essenziali quali la tutela della sanità.
Last but not least, tra le risorse di cui la nostra comunità dispone per ritrovare la luce ci sono le attività finanziarie delle famiglie e delle imprese italiane. Dal lato delle imprese, le incertezze degli ultimi anni hanno indotto un’accumulazione importante di circolante e depositi. Si tratta di risorse che ora potranno rivelarsi utili per far fronte alle necessità di finanziamento del circolante, insieme a adeguati e veloci sostegni da parte del bilancio pubblico.
Dal lato delle famiglie, occorre fare molta attenzione. Il mantra rimane quello che le famiglie italiane sono ricche. Questo rimane vero, se si guardano i 4,4 trilioni di euro di attività finanziarie lorde segnate al terzo trimestre del 2019. Ma all’economista non sfugge che, una volta tolti i debiti e l’inflazione, la ricchezza finanziaria netta degli italiani ha perso il dieci per cento dal 2007 ad oggi. È il conto amaro di tre recessioni. Il risparmio cristallizzato di padri e nonni ci ha aiutato e continuerà ad aiutarci. Non venga in mente a qualcuno di ricorrervi in maniere improvvide. Specie quando è l’Europa a cominciare a capire che con queste regole non si superano le pandemie.
Tra Keynes e Kahnemann, servono sostegno pubblico e psicologia privata. Aiuti “macro” al tessuto di domanda e offerta e supporto “micro” alla psicologia individuale.
Nel disciplinato rispetto di ciò che ci dicono e diranno le autorità sanitarie.
Sostenibilità e investimenti: l’Europa e l’Italia
A livello globale si sta assistendo ad una sempre più ampia integrazione dei criteri di sostenibilità (SRI) nelle strategie di selezione degli investimenti finanziari. Gli investitori istituzionali, così come quelli retail, nella ricerca di un profitto finanziario, stanno dedicando una crescente attenzione alle attività che rispondono a una serie di requisiti di responsabilità sociale ed ambientale.
In Europa si è progressivamente ampliato il grado di diffusione degli asset gestiti con criteri di sostenibilità. I dati relativi ai 13 maggiori paesi europei evidenziano a fine 2017 (ultimo anno disponibile con dati comparabili) un ammontare di investimenti socialmente responsabili pari a 22mila mld di euro. Tra i paesi si registrano sia un diverso grado di diffusione degli investimenti sia una certa difformità in merito alle strategie di selezione. In termini di patrimonio tra i grandi
paesi europei prevale il Regno Unito con asset gestiti secondo criteri di sostenibilità per oltre 7.000 mld di euro, seguito da: Paesi Bassi (3.900 mld), Francia (2.800 mld), Germania (2.500 mld) e Italia (1.900 mld).
Tra le strategie di selezione, resta prevalente quella relativa alle “esclusioni” che si fonda sulla volontà di escludere dai portafogli investimenti in settori ritenuti non conformi a valori etici predefiniti. Gli investimenti selezionati secondo questo criterio, con un patrimonio complessivo pari a circa 10 mila mld di euro, ammontano a quasi il 50% dello stock complessivo.
A livello di mercato si registra un progressivo interesse da parte degli investitori retail che detengono circa il 30% del patrimonio a fronte del 70% riferibile agli investitori istituzionali. Solo due anni prima questo divario risultava molto più accentuato (78% investitori istituzionali, 22% investitori retail) mentre nel 2013 gli investitori istituzionali detenevano quasi la totalità degli attivi (97%).
In Italia si è assistito ad un progressivo sviluppo nell’adozione di strategie SRI che hanno consolidato un trend di crescita positiva nel biennio 2015-17 raggiungendo quasi i 2.000 mld di euro. Tra le diverse strategie quella fondata sul criterio delle esclusioni presenta un peso largamente prevalente in termini di asset con un patrimonio pari a 1.450 mld di euro. Da un punto di vista degli
operatori, il mercato degli investimenti SRI in Italia appare guidato da un numero ridotto di grandi compagnie assicurative e registra un progressivo interesse dei fondi pensione. Se le indicazioni delineate nei piani strategici dei grandi investitori troveranno un’applicazione concreta, l’Italia nei prossimi anni potrebbe colmare almeno in parte il gap in essere con i principali paesi europei.
La crescente attenzione che i mezzi di comunicazione, le aziende e le persone stanno maturando nei confronti del rischio climatico e della sostenibilità di lungo periodo sta progressivamente cambiando la finanza internazionale.
Tra le azioni intraprese a livello globale si può annoverare Climate Action 100+ che è considerata uno dei 12 principali progetti globali per affrontare i cambiamenti climatici. Si tratta di un’iniziativa, lanciata a dicembre 2017, che ha riunito un’ampia platea di investitori con l’obiettivo di garantire che i più grandi emittenti di gas a effetto serra tra le imprese mondiali intraprendano le azioni necessarie a tutela dei cambiamenti climatici. Hanno aderito a questa iniziativa 100 “emittenti di rilevanza sistemica”, che rappresentano i due terzi delle emissioni industriali globali annue, oltre a numerosi altri che hanno la possibilità di favorire la transizione verso l’energia pulita. L’iniziativa ha coinvolto oltre 370 manager che gestiscono attivi per 41 mila mld di Usd. Anche il colosso degli investimenti BlackRock (circa 7.000 mld di Usd di asset gestiti) ha aderito all’iniziativa dichiarando a inizio 2020 di voler aumentare di oltre 10 volte nei prossimi dieci anni la quantità di investimenti sostenibili, facendoli arrivare a 1.000 mld di Usd.
Oltre al valore etico legato alla salvaguardia ambientale e più in generale a tutte le tematiche di sostenibilità, il rischio per le aziende che non svolgeranno progressi su questo fronte, attraverso piani aziendali mirati e azioni concrete, è un rischio finanziario, quello cioè di essere scartate e non rientrare nei portafogli dei grandi investitori istituzionali che aderiscono a queste iniziative. Di fatto l’accresciuta consapevolezza e gli incentivi di mercato tenderanno ad accentuare la velocità di sviluppo di un mercato che già da tempo ha acquisito una dimensione non trascurabile.

I criteri di valutazione degli investimenti sostenibili
A livello globale la finanza sostenibile sta acquisendo una diffusione sempre più ampia.
Si tratta di un approccio finalizzato a ricercare forme di investimento caratterizzate dal rispetto di uno ampio spettro di principi etici in modo che l’investitore, nella ricerca di un profitto finanziario, si focalizzi su attività che rispondono a una serie di requisiti di responsabilità sociale, ambientale e di governance.
Rispetto alla finanza tradizionale, oltre al rischio e al rendimento, vengono considerati altri importanti parametri di riferimento: il riflesso dell’investimento sull’economia reale, la propensione a modificare i comportamenti finanziari in senso più sociale e a promuovere le attività che si muovono in un’ottica di sviluppo umanamente ed ecologicamente sostenibile. Rientrano in questo ambito molteplici attività, da quelle tradizionalmente appartenenti ai settori “no profit” (cooperazione sociale, ecologia, tutela dei diritti umani, attività culturali e artistiche etc.) a quelle come il commercio equo e solidale, l’agricoltura biologica, e più in generale tutte le attività che producono sul territorio un beneficio sociale e ambientale.
L’investimento sostenibile, dunque, può essere visto come un approccio di lungo termine che include decisioni di allocazione del patrimonio, sia esso quello personale del risparmiatore o quello di un investitore istituzionale, in base al rispetto di alcuni fattori denominati fattori “ESG”. Si tratta di un acronimo che nasce da tre parole (environmental, social e governance) che riassumono tre diverse sfere di sensibilità sociale. La prima attiene ai fattori che hanno un impatto di tipo ambientale e comprende ad esempio i rischi relativi ai cambiamenti climatici, alle emissioni di biossido di carbonio, all’inquinamento dell’aria e dell’acqua, alla deforestazione etc. La sfera sociale presta attenzione, tra le altre cose, alle politiche di genere, al rispetto dei diritti umani, al mantenimento di adeguati standard lavorativi e ai rapporti con la comunità civile. La sfera relativa alle pratiche di governo societario tiene in considerazione invece numerosi indicatori relativi ad esempio alle politiche di retribuzione dei manager, alle procedure di controllo, ai comportamenti dei vertici societari e dell’azienda in termini di rispetto delle leggi e della deontologia.
Più in generale la scelta di seguire principi etici per selezionare gli investimenti può avvenire seguendo approcci diversi, i principali sono: a) esclusione; b) inclusione c) approcci diretti.
a) I criteri di esclusione identificano alcune pratiche che non devono essere svolte dai destinatari dell’investimento. I principali elementi discriminanti nella valutazione sono il settore di attività, le politiche ambientali e le politiche sociali. Per quanto riguarda il settore di attività, si evita l’investimento in società che presentano un coinvolgimento nella fabbricazione e commercio di armi, tabacco, alcool, pornografia, gioco d’azzardo ed energia nucleare. L’avvio della finanza etica ha preso le mosse dall’adozione prevalente di strategie di esclusione, ossia escludendo dalle scelte alcune tipologie di industrie, come quella degli armamenti. Ancora oggi la maggior parte degli asset
investiti seguendo principi etici (circa 10mila miliardi di euro solo in Europa) risponde ad una strategia di esclusione.
b) Gli approcci inclusivi, in base ai quali gli investitori e le aziende cercano di produrre un cambiamento positivo in relazione ai fattori ESG. Si identificano alcuni criteri di screening positivo, che mirano ad incentivare gli investimenti in azioni e obbligazioni di aziende o Stati la cui attività si distingue positivamente. I criteri di inclusione possono presentare gradi di articolazione e complessità crescente. Ad un primo livello si collocano ad esempio quelli basati sul rispetto di politiche ambientali, inserendo in portafoglio i titoli di aziende che usano fonti di energia rinnovabili, utilizzano misure preventive sulle emissioni inquinanti o contribuiscono in qualche modo allo sviluppo sostenibile. Nel caso del best-in-class approach, si selezionano ad esempio le società con i più alti rating ambientali, sociali e di governance. I criteri di screening divengono poi più sofisticati se, oltre al rispetto del territorio, si valutano anche le politiche interne adottate dalle aziende in relazione ai lavoratori o le politiche esterne caratterizzate da un’elevata attenzione al rapporto con gli stakeholders, alla trasparenza della gestione, o alla qualità del management.
c) Si parla invece di approcci diretti nel caso di alcune forme di selezione denominate impact investing e engagement and voting. Nel primo caso il raggiungimento di risultati finanziari si coniuga con la creazione di un impatto positivo sull’ambiente o sulla società, ad esempio con il sostegno a progetti abitativi per chi si trova in difficoltà o al microcredito. L’engagement and voting consiste invece nell’influenzare il comportamento di un fondo o di un’azienda con il proprio voto in modo da promuovere cambiamenti che creino valore nel lungo termine nella direzione di una maggiore sostenibilità.

La diffusione degli investimenti SRI in Europa
Negli ultimi anni a livello europeo si è registrato un notevole interesse verso gli investimenti responsabili con una progressivo sviluppo degli asset gestiti con criteri di sostenibilità. Pur permanendo elementi di eterogeneità nei criteri di selezione a livello internazionale, l’ultimo rapporto biennale di Eurosif consente di valutare in modo comparativo l’evoluzione dei trend riferiti ai principali paesi europei.
I dati relativi ai 13 maggiori paesi europei evidenziano a fine 2017 un ammontare di investimenti SRI pari a 22 mila mld di euro (pur considerando alcune duplicazione dovute a investimenti classificabili in più di una categoria). Dopo un incremento degli attivi superiore al 30%, nel biennio precedente, tra il 2015 e il 2017 si è assistito ad una crescita molto ridotta delle attività gestite e ad una ricomposizione dello stock tra le diverse categorie. Il ridotto dinamismo appare legato anche al venir meno dell’effetto di primo avvio da parte di alcuni paesi che aveva caratterizzato la precedente rilevazione.
Osservando i mercati dei principali paesi europei si registrano sia un diverso grado di diffusione degli investimenti sia una certa difformità in merito alle strategie di selezione.
In termini di patrimonio tra i grandi paesi prevale il Regno Unito con asset gestiti per oltre 7.000 mld di euro, seguito da Paesi Bassi (3.900 mld), Francia (2.800 mld), Germania (2.500 mld) e Italia (1.900 mld).
I termini di asset allocation, a livello aggregato il patrimonio registra una certa prevalenza del comparto azionario (47% del totale), seguito dall’obbligazionario (40%) e da una quota molto contenuta investita in depositi e strumenti monetari (3%).
La strategia prevalente resta quella delle esclusioni e si fonda sulla volontà di limitare il possibile rischio reputazionale nell’investire in settori ritenuti non conformi a valori etici predefiniti. Negli ultimi otto anni il tasso complessivo di crescita è stato pari al 23,5%, pur avendo registrato una moderata flessione nell’ultimo biennio.
Gli investimenti selezionati seguendo il criterio delle esclusioni, pur in moderata flessione, presentano un patrimonio complessivo di poco inferiore a 10 mila mld di euro e ammontano a quasi il 45% dello stock. Circa l’80% delle esclusioni riguarda le armi controverse quali bombe a grappolo e mine antiuomo, le altre tipologie di esclusioni volontarie (produzione e commercio di armi, tabacco, energia nucleare, pornografia, scommesse, alcol, test sugli animali etc) riguardano il rimanente 20% del patrimonio.
A livello europeo, la crescita più significativa nel biennio si registra in Italia e Polonia con il mercato italiano che raggiunge quasi 1.500 mld di euro di attivi gestiti. Anche l’Austria e la Spagna presentano dinamiche di sviluppo significative, mentre si denota una flessione in Danimarca e nei Paesi Bassi.
La seconda strategia di selezione più rilevante in termini di attivi gestiti è quella denominata engagement and voting. Tale attività si sostanzia nel dialogo con le imprese su questioni di sostenibilità e nell’esercizio dei diritti di voto connessi alla partecipazione al capitale azionario. Molti investitori guardano a questo aspetto come a una parte del proprio “dovere fiduciario” nei confronti degli altri beneficiari. Il segmento engagement nel biennio 2015-2017 è cresciuto complessivamente del 7% medio annuo, raggiungendo un patrimonio gestito di 4.800 mld di euro. Si tratta di una significativa indicazione della volontà degli investitori di interagire con le società in cui investono e di contribuire alla sostenibilità del proprio modello di business. A livello dei singoli paesi il Regno Unito si posiziona al primo posto per totale degli attivi (2.800 mld di euro) seguito a distanza dalla Svezia 874 mld di eur (+94%) e dai Paesi Bassi (730 mld, di euro).
Un segmento che ha visto ridurre il proprio peso complessivo sul patrimonio è quello relativo agli screening sulle regole. Con questa strategia gli investitori tendono a valutare in quale misura un’azienda rispetti regole che hanno un impatto ESG (ossia ambientale, sociale e di governance). Può essere utilizzata come strategia autonoma o in combinazione con altre, tipicamente quelle della categoria engagement e/o exclusion.
Questo comparto nel biennio 2015-2017 ha registrato una flessione cumulata del 38% circa e gestisce un patrimonio pari a 3,7 trilioni di euro. Questo tipo di investimento incontra un favore particolare in Francia, in cui si concentrano oltre la metà degli asset gestiti, e nei paesi del nord Europa, in particolare in Svezia, Norvegia e Paesi Bassi.
Tra i diversi segmenti di SRI un contenuto sviluppo si è registrato negli investimenti legati alla sostenibilità. Numerose iniziative a livello internazionale hanno accentuato l’interesse degli investitori verso la sostenibilità e in particolare relativamente ai temi dell’efficienza energetica e delle energie rinnovabili.
Il trend moderato di crescita registrato nel biennio 2015-17 (2,4% medio annuo) non ha inciso in modo significativo sul peso di questo segmento che rimane contenuto considerando che lo stock complessivo ammonta in Europa a 148 mld di euro su 22 mila mld complessivi di investimenti SRI.
Molto positiva invece l’evoluzione di mercato della strategia ESG integration, che prevede la valutazione di fattori ESG nelle analisi di investimento operate dagli asset manager.
Questo tipo di analisi, nonostante i progressi compiuti negli ultimi anni, presenta ancora alcune difficoltà, in particolare: nella definizione di un perimetro omogeneo di criteri di valutazione tra diversi paesi e/o asset manager, nell’accessibilità a informazioni e dati rilevanti e alle modalità di integrazione dei criteri non finanziari nelle analisi di investimento.
Il peso di questi investimenti appare comunque rilevante: a fine 2017 il patrimonio ammontava a 4.200 mld di euro con un tasso medio annuo di crescita degli asset pari al 27%. Questa circostanza supporta l’idea che l’integrazione della sostenibilità e dei criteri ESG all’interno degli investimenti sia un approccio sempre più diffuso, destinato ad un’ulteriore crescita negli anni a venire.
Tra le strategie di selezione in crescente sviluppo appare quella denominata Best in class che prevede la scelta degli emittenti da inserire in portafoglio privilegiando i migliori, secondo criteri ESG, all’interno di un universo, di una categoria o di una classe di attivo prescelti. Per esempio un fondo SRI può decidere di investire in un particolare settore, ma solo nelle aziende che all’interno di quel settore possono essere considerate le migliori sulla base di un’analisi relativa ai fattori ambientali, sociali o di governance. Nell’ultimo biennio questo segmento è cresciuto del 9% medio annuo, raggiungendo circa 585 miliardi di euro a livello europeo. Tra i vari paesi a guidare questo approccio è la Francia (322 mld di euro) seguita ancora una volta a distanza dai Paesi Bassi (83 mld di euro).
Con riferimento all’intero universo degli investimenti SRI, in termini di composizione del patrimonio si è assistito nell’ultimo biennio ad una progressiva rimodulazione che ha visto la componente azionaria aumentare dal 32% all’attuale 47% del patrimonio a sfavore di quella obbligazionaria scesa dal 64% al 40%.
Si registra una certa rimodulazione degli attivi anche all’interno della categoria delle obbligazioni. In particolare i corporate bond hanno continuato il loro percorso di crescita arrivando a rappresentare il 57% degli asset obbligazionari.
I titoli sovrani in due anni hanno visto la propria quota sul totale in ridimensionamento dal 41% al 32%, mentre è rimasto sostanzialmente invariato il peso delle obbligazioni locali e municipali che detengono una quota prossima al 7%.
La crescita della componente obbligazionaria è un riflesso del notevole sviluppo dei green bonds. In particolare nel settore privato sia le banche sia altri emittenti del settore corporate hanno raggiunto la qualifica di “emittenti di green bonds”, contribuendo ad alimentare il flusso di nuovi titoli SRI immessi sul mercato.
Da sottolineare è anche il progressivo interesse mostrato nel tempo, specie in alcuni paesi, dagli investitori retail. Il lancio di molti nuovi prodotti da parte degli asset manager e la crescente focalizzazione sui portafogli della clientela private ha canalizzato, anche in un’ottica di diversificazione, nuovi flussi di risparmio nel settore degli investimenti SRI.
Complessivamente gli investitori retail detengono circa il 30% del patrimonio a fronte del 70% degli investitori istituzionali. Pur permanendo un ampio divario a favore di questi ultimi, giova ricordare che si sta assistendo ad un progressivo ribilanciamento; due anni prima questo divario era più accentuato (78% investitori istituzionali e 22% investitori retail) e nel 2015 gli investitori istituzionali detenevano quasi la totalità del patrimonio (97%).
Gli investimenti SRI in Italia Le nuove normative sulla sostenibilità a livello internazionale stanno assumendo grande rilevanza per gli investitori che anche in Italia sono sempre più sensibili alle tematiche ambientali, sociali e di governo societario. Alcune indagini recentemente effettuate rivelano come siano numerose le ragioni che spiegano una maggior responsabilità sociale nelle scelte di portafoglio: la volontà di influenzare positivamente la transizione verso un mondo più sostenibile, di allineare le decisioni finanziarie ai propri valori o anche di ridurre il rischio patrimoniale complessivo.
Occorre sottolineare come le diverse strategie SRI non si escludano a vicenda: per le diverse classi di attivo possono essere seguite più strategie contemporaneamente o è anche possibile delinearne di nuove creando una griglia di criteri di selezione da rispettare. In Italia la maggior parte delle strategie ha registrato nell’ultimo biennio una crescita costante.
In Italia nel biennio 2015-17 si è assistito ad un ulteriore sviluppo nell’adozione di strategie SRI che hanno consolidato un trend di crescita già positivo. I risultati riflettono il rinnovato interesse per i cambiamenti climatici, in particolare dopo i numerosi interventi legislativi successivi al COP21 del 2015.
Per tutte le categorie (con l’eccezione del norms based screening le cui attività sono in parte confluite nella strategia delle esclusioni) si registra un tasso positivo di sviluppo nel biennio.
Le strategie tradizionali come esclusioni e engagement and voting (EV) rappresentano ancora la quota principale del mercato SRI. Gli investimenti a impatto registrano un sostanziale aumento dovuto principalmente al crescente interesse per l’ambiente e gli effetti sociali della finanza, riflessi da diversi opportunità di intervento come investimenti nell’edilizia popolare. La tendenza positiva in EV è guidata dall’accresciuto attivismo dei fondi pensione e di altri investitori interessati a svolgere un ruolo attivo nell’influenzare le politiche di sostenibilità delle aziende.
Tra le diverse strategie quella fondata sul criterio delle esclusioni presenta un peso largamente prevalente in termini di asset ed è passata in un biennio da 570 mld di euro a 1.450 mld a fronte di una contrazione degli investimenti basati sul rispetto di norme e standard internazionali (norms-based screening).
La seconda categoria per attivo, quella relativa all’engagement and voting presenta invece un valore 135 mld di euro, con un valore triplicato rispetto alla precedente rilevazione. La strategia best-in-class ha registrato un considerevole sviluppo e presenta un attivo pari a 58 mld di euro mentre gli investimenti legati all’ESG integration hanno continuato il loro percorso di sviluppo raggiungendo quota 70 mld di euro.
In Italia ha registrato un notevole sviluppo anche l’impact investing, l’approccio che mira a coniugare i rendimenti finanziari con la realizzazione di un positivo impatto ambientale. Gli attivi selezionati con questa modalità hanno raggiunto i 52 mld di euro.
Gli investimenti a impatto hanno incontrato un sostanziale aumento oltre che per il crescente interesse per l’ambiente anche per valutazioni in merito agli effetti sociali della finanza. A sostenere lo sviluppo ha contribuito in maniera rilevante un aumento degli investimenti in social housing guidati dal programma nazionale che mira ad accrescere la disponibilità di alloggi per le categorie disagiate.
Da un punto di vista degli operatori il mercato degli investimenti SRI in Italia appare guidato da un numero limitato di grandi compagnie assicurative. Tra gli altri grandi investitori si registra una maggior partecipazione rispetto al recente passato dei fondi pensione, mentre presentano un interessante potenziale di crescita le Fondazioni.
I fondi pensione italiani hanno mostrato ancora una volta un accresciuto interesse per i temi legati alla sostenibilità, perseguendo principalmente strategie come esclusioni e la selezione basato su norme. L’Italia è chiamata tuttavia a compiere ancora degli sforzi per colmare il divario con i mercati SRI europei più maturi. Un’indagine condotta da MEFOP ha evidenziato come quasi la metà (44%) dei fondi pensione abbia dichiarato il proprio impegno ad accrescere il peso degli investimenti sostenibili nelle strategie di portafoglio. Nel comparto retail si registra una crescita dei fondi SRI lanciati dagli asset manager per rispondere ad un aumento della domanda anche da parte degli investitori privati.
Di fatto la progressiva inclusione dei criteri ESG è attesa diventare in Italia un elemento fondante delle scelte strategiche di allocazione del capitale da parte degli investitori e non più solo un effetto collaterale o un criterio di classificazione ex-post di investimenti già in essere. I piani strategici di tutte le grandi società, finanziarie e non, hanno dato ampio spazio a queste tematiche; se le strategie delineate troveranno un’applicazione concreta l’Italia potrebbe colmare nei prossimi anni almeno parte del gap in essere con i principali paesi europei.