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Il procedimento denominato Project Mirror Intelligence – elaborato dal gruppo Tusci@network – ha l’obiettivo di fornire al navigatore una selezione ragionata di informazioni di natura economico–statistica in grado di riflettere la situazione contingente del “Sistema–Italia”.

L’Instant Book “Start PMI” ha cadenza mensile. I dati contenuti in questo numero sono aggiornati al 31/1/2019.

Autori:

Riccardo Cerulli

Francesco Cacchiarelli

INDICE

1. Indagine rapida sulla produzione industriale – Centro Studi Confindustria – 31 gennaio 2019
2. Conto trimestrale delle AP. Reddito e risparmio delle famiglie e profitti delle società – ISTAT – 7 gennaio 2019
3. Imprese artigiane: aumentano giardinieri e tatuatori. In calo elettricisti e muratori – Comunicato stampa Unioncamere e Info Camere – 3 gennaio 2019
4. Estratto Bollettino Economico n. 1/2019 – Banca d’Italia – gennaio 2019
5. Estratto Il sistema produttivo italiano tra modernizzazione e Industria 4.0 – Quaderni Cassa Depositi e Prestiti n. 03 – marzo 2018
6. Le banche europee, tra rallentamento economico e trasformazione strutturale – Servizio Studi BNL – 29 gennaio 2019
7. Fiducia dei consumatori e delle imprese – ISTAT – 30 gennaio 2019

Estratto:

6. Le banche europee, tra rallentamento economico e trasformazione strutturale – Servizio Studi BNL – 29 gennaio 2019
Le banche europee hanno chiuso il 2018 con una flessione della quotazione dei loro titoli che in genere supera il 30%, il ridimensionamento più grave dal 2011 e più del doppio della variazione parallelamente registrata dall’intero listino azionario. I maggiori gruppi bancari statunitensi hanno registrato una analoga flessione dei corsi azionari (-24% circa) ma nel loro caso il P/B ratio risulta posizionato su livelli ben più elevati di quanto rilevabile per le banche europee. Se ne desume una generale situazione di difficoltà del settore creditizio, che assume toni più gravi nel contesto europeo.
Il risultato reddituale dell’attività bancaria nel 2018 si prospetta non sfavorevole. Un messaggio tranquillizzante viene (in media) anche dall’andamento dei principali indicatori di bilancio (da quelli patrimoniali a quelli che riflettono la qualità dell’attivo). Ad una conclusione analoga è giunto lo stress test predisposto nel novembre scorso dalla Bce per i maggiori gruppi europei.
Tuttavia, sulle prospettive delle banche pesa il mutato tono della previsione economica mondiale. I paesi che riescono a sfuggire al rallentamento sono decisamente pochi e tra essi non figurano quelli del continente europeo. Per la maggior parte degli analisti, inoltre, i rischi sono prevalentemente downward.
In secondo luogo, per le banche europee si pone da tempo un problema di redditività. Il miglioramento del consuntivo registrato recentemente si deve in misura prevalente a fattori una tantum piuttosto che ad una maggiore capacità di reddito dell’attività operativa. Nel prossimo futuro il divario tra risultato economico e costo del capitale potrebbe aumentare invece di ridursi.
Infine, processi di trasformazione strutturale in atto nel circuito finanziario stanno da tempo ridimensionando il ruolo delle banche, con inevitabili ricadute sul flusso dei ricavi. In una fase storica così complessa ci si aspetterebbe un diffuso ripensamento del disegno strategico, con l’avvio di importanti processi di diversificazione e/o di riconsiderazione del portafoglio attività e dei mercati di riferimento. I dati però dicono che (per molte cause) questo processo sta avendo un lento avvio.
Le banche europee hanno chiuso il 2018 con una flessione della quotazione dei loro titoli che in genere supera il 30%, il ridimensionamento più grave dal 2011 e oltre il doppio della variazione parallelamente registrata dall’intero listino azionario. Dopo una prima parte dell’anno caratterizzata da contenute variazioni in entrambe le direzioni, a partire (orientativamente) da maggio i corsi azionari hanno registrato una progressiva caduta. Alla fine dello scorso anno il rapporto tra quotazione e valore contabile (P/B, price to book ratio) si è posizionato poco sopra lo 0,70. Nel 2017 i titoli bancari europei avevano chiuso l’anno in modo più brillante con una crescita media delle quotazioni prossima all’11% e un P/B ratio intorno a 1,10. Da parte loro, i maggiori gruppi statunitensi hanno chiuso il 2018 con una analoga flessione (-24% circa) dei loro titoli ma nel loro caso il P/B ratio risulta posizionato su livelli ben più elevati (intorno a 1,25).
Nell’insieme, l’andamento dei titoli bancari sembra evidenziare una generale situazione di difficoltà del settore creditizio, che assume toni più gravi nel contesto europeo.

Le informazioni più recenti sono complessivamente rassicuranti
L’indicazione espressa dal mercato azionario per i titoli bancari risulta in apparente contraddizione con la prospettiva non sfavorevole del risultato 2018. Come documentato da Mediobanca, i principali gruppi bancari europei hanno conseguito nei primi nove mesi del 2018 un incremento del risultato netto di circa l’1% a/a, per effetto di un miglioramento della qualità dell’attivo (perdite su crediti ridotte dell’11%) e una ripresa dei ricavi (+1,2% a/a), crescita quest’ultima significativa perché avvenuta malgrado la persistente debolezza del margine d’interesse (-1,3% a/a nella prima metà del 2018). Queste indicazioni medie sintetizzano un quadro molto diversificato: tra i 19 gruppi considerati nell’analisi, ben 13 presentano una variazione del risultato netto a doppia cifra, 8 in direzione positiva, 5 in direzione negativa.
Più brillanti i consuntivi 2018 (già pubblicati) delle principali banche statunitensi: i sei gruppi maggiori hanno congiuntamente conseguito utili per circa 120 mld di dollari, un ammontare mai raggiunto in precedenza. Un contributo significativo al conseguimento di questo record è venuto dalla riforma fiscale varata dall’amministrazioe Trump.
Un messaggio tranquillizzante viene anche dalla periodica rilevazione dell’EBA (European Banking Authority, Risk Dashboard. Data as of Q3 2018) che copre quasi 200 realtà bancarie operanti in Europa. Tra le altre cose, questo documento evidenzia che il processo di rafforzamento patrimoniale può dirsi concluso con un CET1 ratio in media pari al 14,5% e oltre il 99% degli operatori al di sopra dell’11%.
La ripresa economica e importanti interventi straordinari hanno parallelamente determinato un miglioramento sostanziale della qualità dell’attivo: alla fine del settembre scorso l’incidenza dei prestiti irregolari sul totale dei prestiti in portafoglio era in media pari al 3,4%, con una discesa di 0,7 punti percentuali in soli nove mesi.
Le situazioni più gravi sono in via di ridimensionamento (i paesi in doppia cifra sono scesi da 7 a 3). Rimangono due casi (Grecia e Cipro) in cui è evidente la necessità di interventi energici.
Nel suo documento l’EBA propone un approfondimento finalizzato a precisare il legame tra circuito bancario e settore immobiliare. Quando si analizza questo tema si tende a sottolineare l’elevata frequenza dei prestiti alle imprese di costruzione divenuti irregolari: ancora al 16,1% nella media europea, pur dopo una flessione di ben 5 punti percentuali nei primi nove mesi del 2018. Ben nove paesi si trovano ancora oltre la soglia del 20% (tra essi Italia e Portogallo).
Nell’insieme, una situazione ancora critica ma che riguarda una porzione limitata dei prestiti alle società non finanziarie (6% nella media europea con 5 paesi oltre il 10%).
Troppo poco interesse suscita, invece, l’esposizione verso le società di intermediazione immobiliare. Se da un lato l’incidenza dei prestiti non performing è in questo caso poco superiore a quella dell’intero portafoglio prestiti (4,2% rispetto al già citato 3,4%), dall’altro lato queste società assorbono in Europa il 27% del totale dei finanziamenti alle società non finanziarie. Alcuni dei principali paesi del vecchio continente si posizionano significativamente al di sopra di questa quota già eccessiva (tra essi Germania, Francia, Paesi Bassi) fino al quasi 60% della Svezia. Di questo insieme di paesi non fa parte l’Italia che indirizza verso queste imprese un contenuto flusso di prestiti (13% del totale dei finanziamenti alle imprese).
Analogamente rassicuranti anche le indicazioni fornite dall’esercizio di simulazione (stress test) condotto dall’EBA nel novembre scorso con l’obiettivo di accertare dinamicamente la solidità del sistema bancario continentale.
L’esercizio, replicato con cadenza biennale, ha questa volta coinvolto i 48 principali gruppi creditizi europei (di cui 4 italiani), titolari congiuntamente di un attivo pari a circa il 70% dell’attivo dell’intero sistema. I dati considerati sono stati tratti dai bilanci al 31 dicembre 2017 e il 2018-20 è l’arco temporale della simulazione.
Il test non prevedeva valori di soglia minimi ma le indicazioni da esso fornite sono parte integrante della valutazione SREP (Supervisory Review and Evaluation Process) che la vigilanza europea effettua annualmente con l’obiettivo di evidenziare a ciascuna banca l’esposizione ai diversi tipi di rischio e suggerire le eventuali azioni da intraprendere per limitarne l’impatto.
Le principali indicazioni fornite da questo test sono quelle relative all’eventuale verificarsi di uno scenario economico avverso nell’area europea.
L’ipotesi centrale di tale scenario è l’affermarsi nella Ue di una recessione economica nel 2018 (-1,2%) e 2019 (-2,2%) cui farebbe seguito un limitato recupero nel 2020 (+0,7%), con una minore crescita rispetto allo scenario base di 8,3 punti percentuali a fine triennio. Sempre rispetto allo scenario base, l’arretramento economico determinerebbe a fine 2020 un incremento complessivo di 3,3 p.p del tasso di disoccupazione, una contrazione di 28 p.p. delle quotazioni immobiliari, un quasi azzeramento della dinamica dei prezzi. La conduzione del test prevedeva anche una valutazione dell’impatto derivante dall’introduzione dell’IFRS9, il principio contabile che impone di considerare le perdite attese nella valutazione delle attività.
Dal test emerge che l’affermazione di questo scenario fortemente negativo causerebbe, oltre ad una riduzione di ricavi, perdite per oltre 500 mld, di cui circa 350 mld riferibili al portafoglio prestiti. Ne deriverebbe in media una riduzione del CET1 ratio di oltre 400 punti base, dal 14,5% iniziale al 10,3%. Alcune banche risultano solo marginalmente colpite (fino ad un minimo di appena 30 punti base), per altre viceversa l’impatto è di rilievo decisamente importante (770 punti base nel caso peggiore).
Il risultato è stato giudicato relativamente benevolo perché posiziona al di sotto della soglia dell’8,5% solo 10 gruppi, per la maggior parte nella condizione di poter gestire autonomamente le necessarie iniziative di rafforzamento. È importante comunque precisare che alcuni gruppi europei di rilevante dimensione e da tempo in una condizione di conclamata debolezza (tra essi, uno italiano e uno spagnolo) sono stati esonerati dalla partecipazione al test perché impegnati nell’attuazione di programmi di ristrutturazione e quindi già monitorati dalla Bce.

Forte impatto negativo dal mutamento della previsione economica
Le informazioni finora sinteticamente fornite non consentono di comprendere l’andamento decisamente sfavorevole registrato dai titoli bancari nel 2018. Tra le altre chiavi di lettura tre sembrano da preferire: la prima è che l’investitore azionario assume le sue decisioni facendo riferimento più alle prospettive che ai consuntivi; in secondo luogo, alcuni dati sono suscettibili di letture diverse; infine, le dinamiche del circuito bancario oltre che in un’ottica congiunturale devono essere esaminate anche considerando i processi di trasformazione di lungo periodo.
Questo tipo di considerazioni, comunque, possono solo limitatamente spiegare specifiche situazioni nazionali quali, ad esempio, quella della Germania.
Nel 2018 i titoli dei due maggiori gruppi bancari tedeschi hanno subito una flessione del 55% circa, una contrazione che in un caso ha determinato anche la “retrocessione” al MDAX, l’indice dei titoli tedeschi a media capitalizzazione.
Per quanto riguarda il primo tipo di argomentazione è evidente il riferimento al mutato tono della previsione economica.
Gli ultimi dati ufficiali indicano un andamento ancora tonico negli Stati Uniti (+3% a/a nel III trimestre 2018) e un evidente rallentamento nell’area euro (+1,6% a/a nello stesso trimestre). Le aspettative di crescita per il biennio 2019-20 sono state quasi unanimemente ridimensionate. Nel recente aggiornamento dello scenario mondiale condotto dal Fondo monetario internazionale l’ipotesi di un rallentamento economico risulta ulteriormente aggravata nell’intensità. Causa ed effetto di questo trend è il minor dinamismo del commercio internazionale. I paesi che riescono a sfuggire a questo rallentamento sono decisamente pochi e tra essi non figurano quelli del continente europeo. Per la maggior parte degli analisti i rischi sono prevalentemente downward, anche a causa di fattori non economici. Rilevante causa di incertezza nello scenario europeo è ovviamente anche la difficile evoluzione della Brexit.
Alla luce di questo appannarsi delle prospettive economiche (propostosi orientativamente a partire a metà dello scorso anno) è comprensibile l’orientamento negativo degli investitori verso le istituzioni bancarie per le quali nei prossimi mesi ci si può attendere un indebolimento del flusso dei ricavi e un deterioramento della qualità dell’attivo.
La minore penalizzazione dei titoli degli istituti statunitensi rispetto a quelli europei si deve a molte circostanze: il rallentamento economico è negli Usa meno intenso di quanto avviene altrove; il coinvolgimento delle banche nel finanziamento dell’economia è sensibilmente inferiore per il più ampio spazio del mercato dei titoli; nell’ambito dei ricavi è decisamente maggiore l’importanza di quelli svincolati dall’intermediazione creditizia.
A questo si deve aggiungere che, diversamente dall’Europa, il processo di superamento della fase di politica monetaria eccezionalmente accomodante (Quantitative Easing) è ben avviato negli Stati Uniti con effetti che cominciano ad essere evidenti: rispetto al dicembre 2015 (primo aumento dei tassi di riferimento) nel secondo trimestre 2018 (ultimo disponibile) il rendimento medio degli attivi bancari fruttiferi risulta aumentato negli Stati Uniti di circa un decimo (dal 3,02% al 3,30%).

Redditività ancora insufficiente
Una seconda strada da percorrere per comprendere la negativa performance dei titoli bancari passa attraverso una più approfondita lettura di alcuni indicatori, a cominciare da quelli relativi alla redditività. I 50 principali gruppi europei gestiscono congiuntamente attivi bancari per un totale di €28,7 trn, il 60% dell’intero circuito europeo.
Nel 2017 questi operatori hanno conseguito un RoE netto (Return on Equity) pari al 7,1%, ben al di sopra del 3,9% conseguito l’anno precedente e il miglior risultato dell’ultimo quinquennio. Malgrado questo miglioramento, tuttavia, il rendimento conseguito è ancora ben al di sotto del costo del capitale (CoE, Cost of Equity).
Se ci si concentra sul triennio 2015-17 si può constatare che al di sopra del 10% (il CoE stimato per il triennio) si posiziona solo un gruppo di operatori che rappresenta (in termini di attivo) poco più di un decimo dell’intero sistema. Una quota doppia del sistema si trova nella condizione opposta: consegue una redditività modesta e non dispone ancora di una dotazione patrimoniale adeguata (CET1 al 12,5%), risultando quindi esposta al rischio di dover procedere ad un aumento di capitale.
Altro aspetto sfavorevole, forse quello più grave, emerge dalla considerazione di che cosa ha consentito il miglioramento della redditività: nel 2017 l’utile netto dei 50 maggiori gruppi europei è ammontato a circa €119 mld, 63 mld in più rispetto al consuntivo del 2013.
Se si va a scomporre questa variazione si deve constatare che il contributo dell’attività operativa è inesistente (anzi la sua variazione è leggermente negativa). L’incremento si deve ad altre poste di bilancio, molte delle quali una tantum (riduzione delle svalutazioni nel portafoglio, proventi straordinari, guadagni da cessione di attività, minore ammontare delle sanzioni comminate dalla autorità, etc).
Se quindi non venissero seguiti nuovi percorsi gestionali e disegnate nuove strategie il consuntivo ipotizzabile per le istituzioni bancarie europee sarebbe probabilmente più allineato con quanto visto nel quadriennio 2013-16 (RoE poco sopra il 4%) piuttosto che migliorare ulteriormente il risultato 2017. In altre parole il divario con il CoE potrebbe crescere invece di ridursi. La lettura dei risultati 2018 (quantità e qualità) fornirà una prima risposta ma l’aspettativa non è favorevole (redditività dell’attività ordinaria positiva ma non brillante).
Nella valutazione degli investitori pesano anche altre considerazioni tra cui quelle riferibili alla nuova architettura normativa messa a punto successivamente al drammatico scoppio della crisi 2008-09. L’adozione delle più gravose prescrizioni non è stata ancora completata. L’impatto delle disposizioni non ancora adottate non è sempre di facile quantificazione. É in questa ottica, ad esempio, che devono essere lette le recenti turbolenze registrate dai titoli bancari dopo la sollecitazione della Bce a 3 Questa evidenza si ritrova anche in Italia: la Banca d’Italia (cfr. relazione annuale maggio 2018) stima che escludendo le componenti straordinarie il RoE medio conseguito dal nostro sistema bancario svalutare integralmente in un arco pluriennale (da due a sette anni) l’intero stock di prestiti non performing in portafoglio.

In discussione il ruolo delle banche nel circuito finanziario
Un terzo ordine di considerazioni fa riferimento ai processi di trasformazione strutturale in atto nel circuito finanziario, processi che da tempo stanno ridimensionando con intensità il ruolo delle banche, provocando inevitabili ricadute sul flusso dei ricavi.
In questi anni nella generalità dei paesi europei il mercato dei titoli corporate ha accresciuto sensibilmente il suo contributo al finanziamento delle imprese, soprattutto nel caso di quello diretto alle imprese maggiore dimensione. Il fenomeno è stato certamente favorito da particolari condizioni di mercato tra cui la persistente situazione di abbondante liquidità monetaria, la ricerca di investimenti finanziari più remunerativi di quanto offerto dai titoli pubblici, il programma di acquisto di titoli societari condotto dalla Bce.
Molte circostanze lasciano pensare che questo avvicinamento al modello anglosassone di finanziamento delle imprese potrebbe in gran parte essere mantenuto anche quando le attuali particolari condizioni di mercato saranno stemperate o anche archiviate.
C’è poi da considerare lo sviluppo del cosiddetto shadow banking, da qualche tempo (in modo più neutrale) denominato intermediazione finanziaria non bancaria. Secondo un recente documento della Bce lo spazio occupato dalle istituzioni finanziarie tradizionali (banche, assicurazioni, fondi pensione, controparti centrali) è pari al 60% dell’intero circuito finanziario europeo. Allo shadow banking viene attribuito il restante 40%, per un terzo circa costituito dalle diverse tipologie di fondi d’investimento. Negli anni più recenti la crescita di questa componente del sistema finanziario si è sostanzialmente arrestata, dopo la fase di intenso sviluppo conosciuta nel triennio 2012-15 (quasi +9% l’anno).
Seppure lo shadow banking sia in parte emanazione degli operatori bancari, è comunque vero che la sua attività sottrae reddito al circuito bancario ufficiale.
Il ridimensionamento del ruolo delle banche procede anche lungo altre linee. Uno è quello dell’apertura del sistema dei pagamenti ad operatori finora estranei al circuito finanziario (da Google ad Amazon). C’è poi lo sviluppo degli operatori fortemente specializzati su singole aree di prodotti in precedenza di competenza esclusiva (o quasi) delle banche. Più recente lo sviluppo della cosiddetta tecnofinanza (fintech), vale a dire la fornitura di servizi e prodotti finanziari attraverso le più avanzate tecnologie dell’informazione.
Tutti questi sviluppi hanno un impatto non trascurabile sui ricavi in una fase in cui parallelamente si propone la necessità di importanti investimenti (quelli informatici già in aumento sono pronosticati in ulteriore crescita).
Ci si aspetterebbe quindi un diffuso ripensamento del disegno strategico, con avvio di processi di diversificazione e/o di riconsiderazione del portafoglio attività. Questo tipo di reazione è ovviamente avvenuto ma solo in misura contenuta: tra il 2013 e il 2017 i 50 maggiori gruppi bancari europei hanno annualmente ceduto attività per circa €6 mld acquisendone parallelamente per poco meno di €4 mld, un flusso annuo di circa 30 operazioni. Anche trascurando il fatto che l’insieme delle operazioni (€10 mld) andrebbe depurato delle duplicazioni (in molte operazioni la controparte è un altro importante gruppo europeo) si tratta di una grandezza marginale se confrontata con i circa €28,7 trn di attivo totale di questi operatori.
Nel caso europeo questa modesta attività di diversificazione di attività si è accompagnata ad un altrettanto modesta correzione del focus geografico. Il numero e il rilievo delle operazioni di fusione e acquisizione transfrontaliera è risultato negli ultimi anni molto ridotto. L’ultima acquisizione cross-border di un certo rilievo realizzata in Europa è stata quella che ha avuto (2015) per oggetto l’inglese TSB (630 sportelli, totale attivo di £ 28 mld) da parte del gruppo spagnolo Banco de Sabadell (esborso di £1,7 mld); se si restringe l’analisi alla sola eurozona per trovare acquisizioni transfrontaliere di importo pari ad almeno €500 mln bisogna risalire al 2011.
La moneta unica, la creazione di un passaporto finanziario europeo6 e i progressi dell’Unione bancaria non si sono rivelati argomento sufficiente per attivare un importante flusso di operazioni cross-border.
A determinare questa situazione sono state molte circostanze che spesso è difficile qualificare come causa o come effetto.
Il processo di Unione bancaria per una parte ha raggiunto importanti obiettivi (costituzione di un sistema unico di vigilanza), per un’altra parte ha compiuto solo una parte del percorso necessario (sistema di protezione dei depositi) mentre l’armonizzazione di alcune disposizioni vitali per l’andamento del credito (ad esempio, definizione di una legge fallimentare europea) è in una fase ancora iniziale. A complicare non poco la situazione è anche l’evidente orientamento di molte autorità a perseguire ancora la costituzione di “campioni nazionali” o a difendere quelli esistenti in difficoltà.
Le fusioni e acquisizioni domestiche risultano meno rarefatte di quelle transfrontaliere ma negli ultimi anni prevalentemente confinate alla sistemazione di situazioni di evidente insolvenza. Nel caso delle operazioni domestiche un qualche ruolo di freno l’ha giocato la resistenza delle autorità a consentire una crescita dimensionale ulteriore degli operatori maggiori.
In definitiva, in una fase storica in cui il circuito bancario è esposto a rilevanti mutamenti, le banche sono chiamate ad adattare il proprio posizionamento al nuovo scenario.