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L’Instant Book “Start PMI” ha cadenza mensile.
I dati contenuti in questo numero sono aggiornati al 31/7/2018.

Autori:

– Riccardo Cerulli

– Francesco Cacchiarelli

INDICE

1. Fiducia dei consumatori e delle imprese – ISTAT – luglio 2018

2. La Fintech tra new business, mercato e regolamentazione – Servizio Studi BNL – 16 luglio 2018

3. Fatturato e ordinativi dell’industria – ISTAT – maggio 2018

4. Commercio estero e attività internazionali delle imprese. Edizione 2018 – ISTAT – 12 luglio 2018

5. Coesione è Competizione. Nuove geografie della produzione del valore in Italia (estratto) – I quaderni di Symbola – 9 luglio 2018

6. I reati contro ambiente e paesaggio: i dati delle procure – ISTAT – 10 luglio 2018

7. Congiuntura Confcommercio – Ufficio Studi Confcommercio – luglio 2018

Estratto:

2. La Fintech tra new business, mercato e regolamentazione – Servizio Studi BNL – 16 luglio 2018
La diffusione dell’innovazione tecnologica in campo finanziario ha portato alla nascita di alcuni soggetti, denominati Fintech, che stanno creando nuovi modelli di attività in ambiti tradizionalmente appannaggio degli intermediari tradizionali come l’offerta di servizi di pagamento, di gestione del risparmio, di intermediazione mobiliare. La concorrenza delle Fintech in alcuni ambiti operativi sta già iniziando a intaccare i margini dell’attività bancaria tradizionale, specie ove il fenomeno appare più diffuso. Alcune analisi di mercato hanno evidenziato come gli intermediari tradizionali ritengano a rischio una parte della propria attività, pari a circa un quarto dei ricavi, su un orizzonte temporale di cinque anni.
A livello globale si stima che gli investimenti nelle Fintech nel 2017 abbiano raggiunto i 31 mld di Usd; si tratta di un valore di poco superiore a quello del 2016, ma più contenuto rispetto a quanto registrato nel 2015, anno in cui si è raggiunto un picco superiore ai 50 mld di Usd. La composizione geografica degli investimenti evidenzia una netta prevalenza del mercato statunitense nel quale si concentrano il 50% degli investimenti totali; segue l’Europa con un valore superiore al 21% ed i paesi asiatici con circa il 13%.
L’Italia nel confronto con altri paesi europei presenta un ammontare di investimenti ancora contenuto: su oltre 8.000 startup innovative quelle operanti nel comparto Fintech ammontano a meno di 300. A fine 2017 nel comparto bancario a fronte di un elevato numero di progetti di investimento in Fintech (283), il 28% risultava già in produzione, il 43 % approvato o in corso di attuazione e circa il 29% solo in fase di ricerca e sviluppo.
Nonostante la numerosità dei progetti avviati dalle banche italiane, gli investimenti stanziati per la realizzazione degli stessi appaiono ancora molto contenuti. Complessivamente si tratta di 135 mln di euro, stanziati per il 92% del totale dalle banche di grandi dimensioni. Il mercato italiano, oltre che per ridotti livelli di investimento, si caratterizza anche per l’assenza di realtà operanti a livello globale: tra le prime 100 Fintech al mondo non ne figura alcuna italiana. Al momento il settore di maggior interesse sul mercato italiano è quello relativo allo sviluppo di processi e tecnologie per il perfezionamento a distanza dei contratti. Seguono poi tra le preferenze analisi dei big data e il segmento degli instant payment. Il social lending e il crowdfunding sono invece i servizi a cui guardano con maggiore attenzione gli intermediari non bancari.

Le Fintech e i principali ambiti di operatività
Con il termine “Fintech” si intendono le aziende di un particolare segmento di mercato che nasce dall’incontro tra i servizi finanziari e il settore tecnologico. Tali aziende stanno entrando progressivamente nel mercato con un’offerta di servizi di finanziamento, di pagamento, di investimento e di consulenza ad alta intensità tecnologica, accelerando il processo di innovazione nel mercato dei servizi finanziari.
La concorrenza delle Fintech in alcuni ambiti operativi sta già iniziando a intaccare i margini dell’attività bancaria tradizionale, specie ove il fenomeno appare più diffuso. Il Governatore della Banca d’Italia ha recentemente evidenziato come, secondo alcune analisi di mercato, gli intermediari tradizionali ritengano a rischio una parte della propria attività, pari a circa un quarto dei ricavi, su un orizzonte temporale di cinque anni. Una recente indagine sul mercato italiano mostra come, con l’espansione del Fintech in tutti i segmenti di mercato, i nuovi operatori potrebbero erodere il 60% dei profitti che le banche ottengono dalle attività al dettaglio. Più in generale, nonostante in Italia i numeri siano ancora ridotti rispetto a quelli di altri paesi, il trend in atto appare incontrovertibile.
In Europa rispetto al 2015 il numero di operatori tradizionali si è ridotto del 40% (da 8.500 a circa 5.300), nel contempo si è assistito all’ingresso sul mercato di numerosi attori del mondo Fintech che rappresentano oggi il 12% circa degli operatori.
Con l’obiettivo di monitorare la diffusione dei servizi forniti dalle Fintech, nel 2015 è stato costruito da Ernst & Young un indice sintetico denominato “adoption index” per monitorare l’utilizzo dei servizi Fintech da parte dei consumatori “attivi digitali”, quelli cioè che, indipendentemente dalla fascia di età, hanno maggiore familiarità con la tecnologia.
L’indagine condotta su 20 paesi nel mondo (non è presente l’Italia), evidenzia come in soli due anni, tra il 2015 e il 2017 la percentuale di “attivi digitali” utilizzatori dei servizi Fintech sia aumentata in modo significativo.
In media, a livello globale nel 2017 un individuo su tre tra gli “attivi digitali” ha utilizzato servizi offerti da Fintech, nel 2015 questo valore si fermava al 16%. La percentuale sale in modo significativo e arriva in media al 46% in alcuni paesi emergenti quali: Cina, Brasile, India, Messico e Sudafrica. In molti di essi contribuisce a questo risultato la diffusione di nuovi servizi di pagamento e di trasferimento di denaro più rapidi ed economici rispetto a quelli tradizionali. Circa il 50% di questi consumatori utilizza infatti servizi di pagamento e un ulteriore 15% dichiara che li utilizzerà in futuro.
Da un punto di vista demografico la classe di età in cui si registrano i valori più elevati dell’indice di utilizzo dei servizi Fintech è quella dei 25-34enni, seguita da quella dei 35-44enni. L’indicazione riflette non soltanto la competenza tecnologica, ma anche la particolare fase evolutiva della vita che comporta un intenso utilizzo di servizi finanziari. Parallelamente l‘intensità di utilizzo diminuisce nelle fasce di età più avanzate, oltre che per la minor attitudine tecnologica anche per le relazioni più consolidate con gli intermediari tradizionali.
In questo scenario di mercato il rischio per gli intermediari tradizionali è quello di perdere progressivamente la centralità nel sistema delle relazioni finanziarie, pur partendo da una posizione privilegiata, dal momento che rispetto alle Fintech possono contare su infrastrutture, maggiori risorse economiche e su un patrimonio informativo consistente in milioni di dati relativi ai propri clienti.
Inizialmente le startup Fintech hanno concentrato la loro attenzione su alcuni business su cui le banche tradizionali erano meno focalizzate. Le attività alle quali le Fintech hanno riservato grande attenzione sono state in primis quelle legate ai segmenti di clientela che incontrano maggiori difficoltà nelle relazioni con le banche tradizionali. Ad esempio i clienti caratterizzati da un “credit score” che rende difficoltoso l’ottenimento di prestiti. Alcune startup Fintech hanno mirato a questo target di clientela utilizzando metodi alternativi e innovativi di erogazione del credito (come l’analisi dei “big data”), processi decisionali molto rapidi e potendo contare su costi operativi molto più contenuti rispetto alle strutture tradizionali.
Successivamente hanno cominciato ad espandere la propria operatività entrando in concorrenza anche nei segmenti più redditizi per le banche andando ad alterare gli equilibri di mercati in cui gli intermediari tradizionali erano al centro delle relazioni.
Le attività promosse dalle Fintech e il mix di servizi finanziari e tecnologie informatiche, si sono estesi in modo progressivo a un numero sempre più ampio di settori dell’intermediazione bancaria e finanziaria: si spazia dal credito (crowdfunding e peerto-peer lending) ai servizi di pagamento (instant payment), dalle valute virtuali, ai servizi di consulenza (roboadvisory). Altri ambiti di applicazione promettenti attengono alle tecnologie di validazione decentrata delle transazioni (blockchain), ai servizi di cloud computing e big data e ai sistemi di identificazione biometrica.

Gli investimenti in Fintech a livello internazionale
La rilevanza del fenomeno Fintech appare ancora più evidente se si considera la dimensione dei finanziamenti a questa tipologia di imprese. A livello globale si stima che gli investimenti nelle Fintech nel 2017 abbiano raggiunto i 31 mld di Usd, si tratta di un valore di poco superiore a quello del 2016, ma più contenuto rispetto a quanto registrato nel 2015, anno in cui si è raggiunto un picco superiore ai 50 mld di Usd. La composizione geografica degli investimenti evidenzia una netta prevalenza del mercato statunitense nel quale si concentra il 50% degli investimenti totali, segue l’Europa con un valore superiore al 21% ed i paesi asiatici con circa il 13%. In Europa si registra un crescente grado di maturità del settore Fintech. Gli investimenti nel 2017 sono stati pari a circa 6,5 mld di Usd. In particolare il Regno Unito non ha mostrato flessioni nella dinamica degli investimenti del settore nonostante le incertezze legate alle possibili evoluzioni di scenario legate alla Brexit. Un ecosistema articolato e un ambiente normativo e regolamentare favorevole hanno continuato ad attrarre numerose startup sul territorio britannico. Londra in particolare rappresenta il maggior hub europeo.
Parallelamente in Europa si registrano segnali di sviluppo significativi anche in altri paesi. Tra le operazioni europee più significative del 2017 si registrano il lancio di alcune importanti iniziative in Svezia e in Germania nel mercato delle Insurtech e alcune altre in Francia nel settore del credito. In Germania in particolare le compagnie di assicurazione tradizionali, riconoscendo il potenziale della
trasformazione digitale, hanno dato avvio a numerosi investimenti in Fintech, soprattutto attraverso il supporto di programmi di accelerazione e incubazione.
La distribuzione degli investimenti evidenzia la focalizzazione di business diversi nelle varie aree geografiche. Negli Stati Uniti e, più in generale, nei paesi americani gli ambiti su cui si concentrano i maggiori investimenti sono l’Insurtech e la blockchain; in Asia le Fintech più rilevanti operano nel settore dei pagamenti (in particolare in ambito Real Time Payment).
In Europa l’area su cui si concentrano le maggiori realtà Fintech operative è quello del Social Lending, si tratta della concessione di prestiti “peer-to-peer” su marketplace dedicati. Il social lending può essere definito come uno strumento attraverso il quale una pluralità di soggetti può richiedere a una pluralità di potenziali finanziatori, tramite piattaforme on-line, fondi rimborsabili per uso personale o per finanziare un progetto.
Da un punto di vista regolamentare l’operatività dei gestori di piattaforme on-line che svolgono attività di social lending è consentita nel rispetto delle norme che regolano le attività riservate a particolari categorie di soggetti (ad esempio, attività bancaria, raccolta del risparmio presso il pubblico, concessione di credito nei confronti del pubblico, mediazione creditizia, prestazione dei servizi di pagamento).
Questo tipo di attività, lanciata nel 2005 nel Regno Unito, si è progressivamente diffusa come modello finanziario alternativo. Si prevede che a livello globale nel 2025 questo business possa arrivare a valere 150 mld di Usd.
Le banche e il mercato italiano delle Fintech L’Italia nel confronto con altri paesi europei quali Regno Unito, Germania, Francia ed Olanda presenta un ammontare di investimenti ancora contenuto. Il numero limitato di Fintech appare in parte legato alla prevalenza di un modello di business bancario ancora tradizionale e ad una maggior lentezza nell’adeguamento della clientela all’utilizzo delle soluzioni offerte dalla tecnologia. Si registra ad esempio una percentuale più contenuta rispetto alla media europea nell’utilizzo del conto corrente tramite applicazione da mobile. Il gap con l’Europa rimane ampio anche per servizi a distanza “più maturi” come l’Internet banking. In Italia l’utilizzo dei servizi di internet banking si ferma al 31% degli individui a fronte di un valore medio per la Ue pari al 52%.
Da un punto di vista prospettico gli intermediari italiani non possono non guardare al processo di transizione generazionale che sta avvicinando ai servizi bancari e finanziari un numero crescente di giovani con elevate competenze tecnologiche e attitudine alla fruizione dei servizi a distanza. In quest’ottica l’attenzione all’evoluzione del mercato appare elevata.
Una recente indagine della Banca d’Italia sullo stato dell’arte dei servizi Fintech in Italia evidenzia come circa i tre quarti degli intermediari, in particolare le banche di grande dimensione, preveda di effettuare investimenti in tecnologie e servizi Fintech, mentre solo il 26% si dichiara non interessato a investire in questo ambito.
L’orizzonte temporale al quale le banche guardano non è omogeneo: il 37% degli intermediari ha avviato o sta per avviare progetti di investimento nel breve termine, mentre un altro 37% intende avviare iniziative almeno nel medio-lungo termine. La realtà italiana del mondo Fintech appare ancora piuttosto sottodimensionata.
Secondo i dati del Registro delle Imprese, in Italia su oltre 8.000 startup innovative quelle operanti nel comparto Fintech ammontavano a meno di 300. Nel comparto bancario a fronte di un elevato numero di progetti di investimento in Fintech (283), il 28% risultava già in produzione, il 43% approvato o in corso di attuazione e circa il 29% solo in fase di ricerca e sviluppo.
Nonostante la numerosità dei progetti avviati dalle banche italiane, gli investimenti stanziati per la realizzazione degli stessi appaiono ancora molto contenuti.
Complessivamente si tratta di 135 mln di euro, stanziati per il 92% del totale dalle banche di grandi dimensioni, un importo di modesta entità se paragonato ai costi che le banche italiane sostengono per la gestione delle apparecchiature IT, stimato in circa 4 mld di euro annui. Il mercato italiano, oltre che per ridotti livelli di investimento, si caratterizza anche per l’assenza di realtà operanti a livello globale: tra le prime 100 Fintech al mondo non ne figura alcuna italiana.
Le modalità di realizzazione dei progetti presentano ancora una prevalenza del modello in-house con un’incidenza sul totale del 39%; nel 36% dei casi il progetto verrà sviluppato da fornitori esterni e circa il 2% con l’ausilio di incubatori o acceleratori. I rapporti di sinergia con le Fintech appaiono al momento ancora in una fase evolutiva iniziale. Ciò trova riscontro nel limitato numero di risorse umane che le banche hanno impiegato in questo ambito. Solo sei banche e quattro altri intermediari hanno dichiarato di aver creato delle strutture costruite ad hoc per lavorare sul Fintech impiegando complessivamente 550 persone.
Al momento il settore di maggior interesse sul mercato italiano è quello relativo allo sviluppo di processi e tecnologie per il perfezionamento a distanza dei contratti. Seguono poi tra le preferenze l‘analisi dei big data e il segmento degli instant payment. Il social lending e il crowdfunding sono invece i servizi a cui guardano con maggiore attenzione gli intermediari non bancari.

Lo sviluppo delle Fintech e i riflessi per il mercato bancario
Le imprese Fintech rappresentano un importante stimolo per l’industria bancaria a innovare i propri processi, a ricercare nuovi canali distributivi, ad utilizzare in modo più effciente la ricchezza del patrimonio informativo.
L’ingresso sul mercato di nuovi operatori in grado attraverso la tecnologia di elaborare le informazioni in modo rapido ed efficace obbliga gli intermediari a rivedere i propri processi, investendo maggiormente nell’innovazione tecnologica per ridurre i costi operativi e aumentare la flessibilità. Le banche hanno già da tempo lanciato servizi digitali attraverso molteplici canali e stanno progressivamente ampliando il numero dei servizi e le modalità di accesso agli stessi.
I modelli di partnership tra banche e Fintech nascono dall’esigenza di entrambi i player e dalla presenza di caratteristiche complementari tra le due realtà operative.
Le startup sono caratterizzate da un’estrema agilità in grado di garantire una più rapida capacità di innovazione e di adeguamento del modello di business alle dinamiche del mercato rispetto ai tempi più lunghi delle banche.
Presentano tuttavia un gap negativo in termini di flussi informativi dal momento che non possono accedere facilmente ai dati dei clienti che vengono custoditi dagli istituti finanziari e ai fondi necessari per espandere il business Fintech. Le banche invece hanno bisogno della capacità innovativa delle startup per catturare e fidelizzare il pubblico più giovane. Questo trend è destinato ad accelerare con il progressivo inserimento nel mondo del lavoro dei cosiddetti “nativi digitali” o “millennials”, i nati tra il 1980 e il 2000, un terzo dei quali negli Usa sostiene di non sentire l’esigenza di una banca fisica.
Le banche, in risposta all’elevato grado di conoscenza tecnologica delle nuove generazioni e alla diffusione di sistemi di pagamento evoluti, mirano attraverso l’offerta di nuovi servizi ad anticipare rispetto al passato l’interazione con i clienti di domani. Per arrivare a ciò si sono aperte a nuovi segmenti di mercato, talvolta meno remunerativi rispetto ai business tradizionali, nei quali le Fintech hanno attratto l’attenzione dei giovani, tipicamente meno inclini ad instaurare un rapporto con una banca tradizionale. Le Fintech, dal lato loro, guardano alle banche come a un’opportunità per crescere in termini dimensionali e per rafforzare la loro brand reputation, con l’obiettivo di ampliare i segmenti della loro operatività.
Dinanzi a questo scenario la gran parte delle banche, in misura diversa, ha iniziato a collaborare e/o finanziare start-up Fintech, seguendo principalmente quattro strategie: 1) acquisizione di Fintech da parte degli intermediari; 2) creazione di incubatori e innovation lab all’interno delle proprie strutture; 3) partecipazione come Venture Capitalist; 4) accordi di partnership commerciale talvolta abbinati a finanziamenti a società esterne.
Alle banche lo sfruttamento delle potenzialità del “Fintech” consentirebbe di ridurre il rischio di perdere rapidamente quote di mercato a favore dei nuovi operatori, spesso soggetti a minori oneri regolamentari, e dei giganti della tecnologia che si sono già affacciati sul mondo del credito e della finanza. In realtà esiste per le banche e le Fintech un rischio che le accomuna, quello rappresentato dalla discesa nel settore dei servizi finanziari dei grandi player statunitensi del settore tecnologico (Google, Amazon, Facebook etc.) che detengono dati e identikit molto analitici dei loro utenti e sono in grado di profilare in modo preciso gusti, esigenze e abitudini di pagamento.

La diffusione delle Fintech e le implicazioni in termini di regolamentazione
L’innovazione tecnologica in campo finanziario, l’offerta di nuovi servizi e le nuove modalità di interazione con la customer base, pur comportando un ripensamento dei modelli di business, non possono prescindere dal presidio di un valore fondante dell’attività bancaria: la tutela della clientela.
In quest’ottica sicurezza e regolamentazione sono due aspetti di cruciale importanza.
I clienti degli operatori finanziari tradizionali sono abituati ad interagire con soggetti che rispettano schemi normativi complessi e sofisticati, sotto un serrato controllo da parte delle autorità di vigilanza.
Con l’ingresso sul mercato di nuovi attori, più agili ma meno strutturati, le autorità di regolamentazione sono chiamate a un compito non semplice. Da un lato occorre garantire presidi come: la stabilità dei soggetti vigilati, la trasparenza e la correttezza dei rapporti con i clienti, la privacy di questi ultimi, la tutela della concorrenza nel mercato; dall’altro è necessario applicare un principio di proporzionalità evitando di creare “barriere regolamentari” che potrebbero ostacolare il progresso tecnologico. Sottoporre le società Fintech ad adempimenti normativi assimilabili a quelli di strutture più complesse richiederebbe uno sforzo eccessivo in termini di mezzi e risorse, frenando la dinamicità che le caratterizza.
La normativa non sempre offre un grado di flessibilità sufficiente a garantire un tempestivo adeguamento al progresso tecnologico. Si tratta quindi di un percorso impegnativo che non può essere intrapreso solo a livello nazionale.
È necessario un coordinamento tra le autorità europee per evitare arbitraggi regolamentari e garantire parità di condizioni tra operatori tradizionali e nuovi operatori. Le autorità di regolamentazione a livello internazionale hanno risposto sinora proponendo tre principali modelli di interazione con il mercato: 1) la costituzione di “innovation hub” volti a fornire alle imprese Fintech indicazioni sugli aspetti di compliance e di rispondere ai requisiti della regolamentazione; 2) l’istituzione di “regulatory sandbox”, ossia di spazi in cui le imprese possono sperimentare nuovi prodotti e servizi potendo contare su un’attenuazione temporanea e limitata dei vincoli normativi, avendo accesso ai mercati e offrendo nel contempo un’adeguata protezione ai consumatori; 3) la partecipazione diretta delle autorità nell’attività di sviluppo attraverso forme di partnership, cofinanziamento di progetti o mediante la creazione di “incubatori”.
A livello internazionale l’atteggiamento delle autorità di regolamentazione non è stato omogeneo. Negli Stati Uniti si è osservata una risposta diversificata tra i vari stati con un’intonazione di fondo più restrittiva rispetto ad altre aree. Nella Ue il sistema di regole è apparso favorevole allo sviluppo delle Fintech, anche se le autorità dei vari paesi hanno compiuto scelte diverse tra i vari possibili modelli di interazione con il mercato.
Nel Regno Unito dal punto di vista normativo si è cercato di lasciare uno spazio ampio alle Fintech, soprattutto attraverso la creazione di “sandbox” per favorirne lo sviluppo e il confronto con il mercato.
In Italia, è stato istituito presso il Ministero dell’Economia e delle finanze il Comitato di coordinamento per il Fintech, nel quale si riuniscono alcune autorità tra cui la Banca d’Italia che ha inoltre aperto sul proprio sito web un “Canale Fintech” per uno scambio di valutazioni con imprese start-up e tradizionali. Oltre agli elementi di mercato, alla tecnologia, alle scelte degli intermediari tradizionali e alla capacità innovativa delle Fintech, la struttura del mercato finanziario dipenderà anche dall’implementazione di un sistema regolamentare in grado di garantire livelli analoghi di stabilità del sistema e tutela della clientela in un contesto potenzialmente molto diverso da quello attuale.