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Il procedimento denominato Project Mirror Intelligence – elaborato dal gruppo Tusci@network – ha l’obiettivo di fornire al navigatore una selezione ragionata di informazioni di natura economico–statistica in grado di riflettere la situazione contingente del “Sistema–Italia”.

L’Instant Book “Start PMI” ha cadenza mensile.
I dati contenuti in questo numero sono aggiornati al 31/1/2018.

Autori:

– Riccardo Cerulli

– Francesco Cacchiarelli

INDICE

1. Indagine sulle aspettative di inflazione e crescita – Banca d’Italia – 16 gennaio 2018

2. Congiuntura Confcommercio – Centro Studi Confcommercio – gennaio 2018

3. Bollettino Economico – Banca d’Italia – gennaio 2018 (estratto)

4. L’impatto delle catene globali del valore sull’analisi macroeconomica dell’area dell’euro (estratto dal Bollettino economico BCE) – Banca Centrale Europea – n. 8/2017

5. ABI Monthly Outlook (sintesi) – Ufficio Analisi Economiche ABI – gennaio 2018

6. Mettere in Rete le forze conviene alle imprese italiane e al Paese (estratto da “L’espansione globale prosegue”) – Centro Studi Confindustria – dicembre 2017

7. La svolta si avvicina – Servizio Studi BNL – 19 gennaio 2018

Estratto:

6. Mettere in Rete le forze conviene alle imprese italiane e al Paese (estratto da “L’espansione globale prosegue”) – Centro Studi Confindustria – dicembre 2017

Il sistema produttivo italiano sconta da anni una crescente difficoltà a far fronte ai cambiamenti competitivi occorsi a livello globale: da un lato, la concorrenza sempre più basata sulla conoscenza e sulla capacità di adattamento alle esigenze del cliente, anche con un presidio diretto dei mercati esteri; dall’altro, la rivoluzione tecnologica digitale che richiede il ripensamento radicale nel modo in cui le imprese generano e trattengono valore aggiunto al proprio interno. In entrambi i casi si tratta di sfide epocali che impongono un forte e continuo investimento in innovazione, sia produttiva sia organizzativa, rispetto alle quali la storica frammentazione delle catene del valore nazionali in una miriade di soggetti imprenditoriali, con scarsi livelli di coordinamento formale lungo le filiere, costituisce un vincolo strutturale.
Per contribuire a superare questo vincolo e avviare le imprese italiane verso percorsi di sviluppo più strutturati, e quindi verso una loro crescita anche dimensionale, nel 2009 è stato introdotto all’interno dell’ordinamento giuridico italiano il contratto di Rete, uno strumento esplicitamente orientato a progetti di investimento comuni tra più soggetti imprenditoriali e finalizzati ad accrescere, attraverso l’aggregazione, il potenziale d’innovazione e quindi la capacità competitiva dei contraenti. Attraverso la Rete le imprese possono mettere a sistema le risorse necessarie per realizzare investimenti, che singolarmente non sarebbero in grado di sostenere con profitto, per aumentare l’efficienza nei rispettivi processi produttivi e per accrescere la diversificazione delle produzioni e delle fonti di finanziamento, riducendo in tal modo l’esposizione al rischio di shock negativi. Tutto questo senza dover sottostare a rigide regole pre-stabilite sul come organizzare l’attività in Rete e senza l’obbligo di creare un nuovo soggetto giuridico distinto dalle imprese aderenti al contratto.
Nel corso del tempo, il contratto di Rete ha accresciuto in modo esponenziale la penetrazione all’interno del tessuto produttivo italiano. Nonostante l’assenza di incentivi fiscali nazionali o regionali a favore delle Reti, il 2017 è stato l’anno dei record sia per numero di contratti stipulati (+30,4% rispetto al 2016) sia per numero di imprese coinvolte (+39,9%). I registri di Infocamere, aggiornati a novembre 2017, hanno censito 4.088 aggregazioni che hanno coinvolto 20.885 imprese. Nella stragrande maggioranza dei casi (86% circa), le aggregazioni si sono costituite nella forma della Rete contratto, ovvero senza possedere soggettività giuridica. Le imprese coinvolte sono in prevalenza micro (44% circa del totale) o piccole (40% circa), appartenenti a tutti i principali comparti dell’economia. Un segnale certamente positivo per il legislatore perché dimostra la corrispondenza tra la popolazione target della policy e la popolazione degli utilizzatori effettivi della policy stessa.
Essendo nato nel corso della più lunga e profonda crisi economica sperimentata dall’Italia in tempo di pace, il contratto di Rete ha fin qui dispiegato i suoi effetti principalmente sostenendo la resilienza del sistema produttivo.
L’analisi svolta dal CSC e dall’ISTAT, con la collaborazione tecnico-organizzativa di RetImpresa, mostra a questo proposito che, grazie all’ingresso in Rete, le imprese sono riuscite tra il 2011 e il 2015 a salvaguardare fatturato e addetti: a un anno di distanza l’effetto, in termini differenziali di crescita rispetto ad imprese ex-ante equivalenti strutturalmente e strategicamente ma non entrate in Rete, è rispettivamente di 7,4 e 5,2 punti percentuali; a tre anni, l’effetto cresce a 14,4 e 11,2 punti percentuali. All’interno dell’effetto medio positivo non mancano comunque eccezioni. A livello settoriale il contratto di Rete ha beneficiato in particolare le imprese manifatturiere, dei servizi alle imprese e del commercio, ma non quelle delle costruzioni. A livello geografico la Rete ha avuto effetti positivi per la maggioranza delle imprese del Centro e del Nord Italia ma non del Sud. Infine, il contratto di Rete non è riuscito a migliorare la performance di quelle imprese che, già prima di aggregarsi, presentavano livelli di efficienza produttiva particolarmente bassi.
Per verificare, in modo puntuale e rigoroso, se e in che misura il contratto di Rete sarà in grado di svolgere anche una funzione di rafforzamento della crescita e della competitività del sistema produttivo italiano in una fase finalmente espansiva dell’economia, bisognerà attendere ancora del tempo. Questo perché le statistiche ufficiali sulla performance economica delle imprese risalgono ancora al 2015.
Tuttavia, dalle informazioni già disponibili sulle finalità programmatiche delle Reti si evince chiaramente come il contratto di Rete rappresenti una leva strategica di politica industriale complementare rispetto alle altre misure di sostegno alla competitività messe in campo dal Governo. Prova ne sia il numero significativo di aggregazioni costituitesi in questi anni, pur in assenza di un disegno esplicito di policy, intorno a progetti finalizzati alla maggiore penetrazione commerciale e produttiva sui mercati esteri e alla maggiore intensità e qualità delle attività di ricerca e innovazione tecnologica.
In particolare, considerando tutti i contratti di Rete stipulati dal 2010 al novembre 2017, il CSC stima (in modo conservativo, attraverso una ricerca testuale di parole chiave) che il 37% delle aggregazioni abbia avuto tra gli obiettivi comuni quello di internazionalizzare l’attività delle imprese aderenti; il 17% ha condiviso finalità legate all’investimento in nuove tecnologie, anche attraverso la digitalizzazione di processi e prodotti; il 6%, infine, ha richiamato esplicitamente la necessità di accrescere, grazie alla Rete, l’efficienza dei processi produttivi.