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Il procedimento denominato Project Mirror Intelligence – elaborato dal gruppo Tusci@network – ha l’obiettivo di fornire al navigatore una selezione ragionata di informazioni di natura economico–statistica in grado di riflettere la situazione contingente del “Sistema–Italia”.

L’Instant Book “Start PMI” ha cadenza mensile.
I dati contenuti in questo numero sono aggiornati al 30/11/2017.

Autori:

  • Riccardo Cerulli
  • Francesco Cacchiarelli

INDICE

1. Congiuntura flash – Centro Studi Confindustria – novembre 2017
2. Startup: un fenomeno in evoluzione – Servizio Studi BNL – 14 novembre 2017
3. La proposta della Commissione Europea per la riforma delle imposte societarie nel mercato unico digitale – Istituto Bruno Leoni – 29 novembre 2017
4. Le medie imprese industriali italiane (2006 – 2015) – Mediobanca/Unioncamere – novembre 2017
5. Patrimonio culturale e benessere organizzativo. Le sfide possibili del Mise – Quaderno informativo Ministero dello Sviluppo Economico – novembre 2017
6. Struttura e competitività delle imprese multinazionali. Anno 2015 – ISTAT – 29 novembre 2017

Estratto:

Startup: un fenomeno in evoluzione – Servizio Studi BNL – 14 novembre 2017
Le piccole e medie imprese sono spesso al centro di analisi e provvedimenti delle autorità nazionali e sovranazionali europee per l’importanza che rivestono in termini di occupazione e di crescita economica. La Commissione europea ha esortato a favorirne la creazione, stimolando e agevolando soprattutto l’imprenditorialità giovanile. Nell’ambito delle Pmi, sempre maggiore attenzione viene riservata alle startup, imprese che spesso (ma non sempre) sono guidate da giovani imprenditori. Anche se di non facile misurazione, sembra essere consistente il contributo che le startup forniscono alla crescita economica e alla creazione di occupazione: si stima che quelle che sopravvivono nei cinque anni successivi dalla costituzione creino tra il 21 e il 52% del totale dei posti di lavoro nel segmento relativo, a seconda dei paesi in cui operano.
Tra i fattori che permettono la sopravvivenza e lo sviluppo delle startup determinante risulta la presenza di adeguate fonti di finanziamento. Per le startup in fase di avvio il canale bancario è spesso precluso, soprattutto per l’assenza di un financial track record che rende il prestito scarsamente conciliabile con le normative prudenziali. In crescita appare l’equity financing: nel 2016 l’ammontare dei nuovi investimenti dell’EIF, l’ente che agevola i finanziamenti alle Pmi per conto delle principali istituzioni europee, sono aumentati del 45% (a €3 mld) e le garanzie prestate del 31% (a €6 mld).
Incrementi ancora maggiori hanno riguardato gli importi raccolti da investitori privati grazie all’effetto trascinamento generato dalla presenza di una istituzione di elevata reputazione tra i finanziatori: +88% (a €19 mld) e +42% (a €24 mld) per l’apporto di equity e garanzie rispettivamente. Tra le tipologie di equity financing idonea ai primi anni di attività delle startup vi è senz’altro il Venture capital. Nel 2016 gli investimenti di questa tipologia di finanziamento sono aumentati del 12% sia in Europa sia negli Stati Uniti: $4,7 i miliardi raccolti nel Vecchio Continente contro i $67 degli USA; in Italia l’ammontare è di $97 mln, €46 mln in più rispetto al 2015.
In Italia lo Startup Act varato a fine 2012 dal MISE ha stabilito una serie di incentivi e agevolazioni, soprattutto per le imprese innovative. A circa quattro anni di distanza, il comparto registra risultati positivi in termini di numerosità e occupati: a settembre scorso erano 7.854 le imprese iscritte (+23% a/a) e circa 40.000 gli occupati tra soci e personale dipendente. Importante anche il sostegno del Fondo centrale di garanzia di cui hanno finora beneficiato 1.784 startup per un finanziamento medio pari a €242mila.

Pmi crescono
Già dal 2008 con la pubblicazione dello Small Business Act la Commissione europea ribadiva il valore fondamentale delle Pmi nel tessuto produttivo del Vecchio Continente sottolineando, in particolare, l’importanza di crearne di nuove incoraggiando e favorendo lo spirito imprenditoriale soprattutto tra i giovani.
Un’iniziativa che si inserisce in un orientamento strategico indicato da diverse istituzioni europee sin dalla fine degli anni Novanta. Nell’ambito delle Pmi, sempre maggiore attenzione viene riservata alle startup, imprese che spesso (ma non sempre) sono guidate da giovani imprenditori. Il fenomeno è seguito con interesse anche alla luce di esperienze di successo quali quelle di Microsoft, Apple, Google, Facebook che nate come startup, sono attualmente tra le imprese a livello mondiale con più elevata capitalizzazione.
In effetti, anche se non nelle proporzioni dei colossi statunitensi, il progetto di ogni startup è quello di svilupparsi grazie a un supporto organizzativo e strategico per trasformarsi in impresa contendibile sul mercato. Inoltre non è da sottovalutare il contributo che l’avvio di nuove imprese ha sull’occupazione e la crescita economica, contributo che, pur essendo di difficile misurazione per le sole startup, si ritiene comunque consistente grazie anche al loro frequente utilizzo di nuove tecnologie e metodi innovativi di produzione. Uno studio Ocse rileva come le startup che sopravvivono nei cinque anni successivi alla costituzione creino tra il 21 e il 52% dei nuovi posti di lavoro nel segmento relativo, a seconda dei paesi in cui operano. Al di là del diverso potenziale di sviluppo che idee originali e innovative possono avere, le imprese di nuova costituzione si trovano ad affrontare alcune criticità che risultano piuttosto comuni indipendentemente dal paese in cui originano. Secondo l’ultimo European Startup Monitor le richieste più frequenti che vengono rivolte alle istituzioni competenti riguardano una semplificazione burocratica, agevolazioni fiscali e sostegni per la raccolta di capitale.
per le Pmi, la natura particolarmente rischiosa dei prestiti alle startup confligge con i criteri prudenziali adottati dagli istituti di credito. La mancanza sia di garanzie sia di una “storia di affidabilità” (financial track record) che possa delineare il profilo di rischio e la redditività di una giovane impresa sono elementi che rendono difficile l’ottenimento di un prestito bancario, soprattutto nei primi decisivi anni di vita dell’azienda.
Solitamente infatti l’avvio di una impresa (early stage) è caratterizzato da perdite ed il finanziamento iniziale rimane in carico alle risorse dei fondatori, di amici e familiari. Alcuni studi affermano che circa la metà delle startup fallisce proprio nella fase di avvio. Alla luce dell’elevata rischiosità dei finanziamenti, ma anche dei benefici potenziali in caso di successo, le autorità europee hanno messo a punto diverse iniziative a favore dei finanziamenti alle Pmi e, più in particolare, delle startup. Favorendo un ampio frazionamento del rischio tra più intermediari, le raccolte tramite crowd funding e fondi di venture capital sembrano le tipologie di finanziamento che più si addicono alla fase di early stage sia nel periodo di sviluppo dell’idea (seed stage) sia in quello di vero e proprio avvio (start-up stage); l’equity capital risulta invece più idoneo nella fase di espansione quando l’impresa dovrebbe aver già iniziato a mostrare una più chiara capacità di produrre utili (almeno in prospettiva).
Nonostante il crescente interesse sulle modalità di finanziamento delle startup, il settore non dispone ancora di rilevazioni strutturate vista anche la molteplicità degli operatori e l’articolazione dei prodotti finanziari disponibili. A livello europeo alcune indicazioni sul fenomeno vengono dal Fondo Europeo per gli Investimenti (EIF), entità partecipata dalla Bei, dall’Unione europea e da un ampio numero di istituzioni finanziarie pubbliche e private con il compito di agevolare i finanziamenti alle Pmi e conseguentemente alle startup. L’EIF opera tramite investimenti in capitale di rischio (private equity, venture capital) e prodotti di debito, prestazioni di garanzie e operazioni di cartolarizzazione. La reputazione ottenuta nella capacità di selezione delle imprese, unita al supporto fornito sia in fase di avvio sia di crescita con strumenti di equity, fa sì che ai finanziamenti del fondo si aggiungano frequentemente quelli di investitori privati.
I €3 miliardi equity sottoscritti nel 2016 (+45% a/a) in 117 fondi hanno prodotto ulteriori investimenti per €18,5 mld (+88% a/a), mentre ai €6 mld di garanzie offerte (+31% a/a) se ne sono sommati ulteriori €24 mld (+42%). Nel complesso, l’ammontare totale degli strumenti di equity investiti dall’EIF a fine 2016 risulta pari a €12 mld (+45% a/a) mentre €14 mld è il totale delle garanzie (+31% a/a).
Non mancano evidenze del successo di startup finanziate con l’intervento dell’EIF. Numerose analisi empiriche evidenziano come entro il quarto anno successivo all’investimento iniziale, i valori medi e mediani sia del numero di addetti sia del totale attivo risultano raddoppiati. Inoltre, nei primi sette anni di attività si registra un trend positivo dei principali indicatori di redditività: la quota di imprese con ROA positivo, ad esempio, aumenta dal 10% al 35%.

Venture capital: per l’Europa investimenti ancora contenuti
Tra le tipologie di equity financing delle startup idonee per i primi anni di attività vi è senz’altro il venture capital (VC), modalità che si addice particolarmente agli investitori disponibili al rischio ma che riconoscono all’impresa potenzialità di crescita future (spesso sono figure esperte del settore in cui operano); il ritorno economico per essi è infatti solo nel medio-lungo termine. La Commissione europea, allo scopo di uniformare la normativa tra i diversi paesi dell’Unione ed ampliare la platea sia degli intermediari sia dei beneficiari, operando nell’ambito del progetto della Capital Market Union, da alcuni anni promuove iniziative a favore di questa tipologia di finanziamento. Finora la dimensione del mercato europeo è rimasta piuttosto contenuta, soprattutto se confrontata con quella statunitense: nel 2016, a fronte di investimenti USA pari a $66,6 mld (l’86% del VC complessivo dei paesi Ocse) quelli europei sono arrivati ad appena $4,7 mld. In Italia l’ammontare ha raggiunto i $97 mln, €46 mln in più rispetto al 2015.
Misurata in rapporto al Pil la quota non supera lo 0,05% per la maggior parte dei paesi Ocse, fatta eccezione per Israele e Stati Uniti dove la percentuale supera lo 0,35% seguiti da Canada e Corea dove però si ferma al di sotto dello 0,1%.
La dinamica degli investimenti di VC evidenzia andamenti ampiamente diversificati tra le economie avanzate: posto pari a 100 l’ammontare degli investimenti del 2010, nel 2016 si rilevano sensibili incrementi in Polonia, Irlanda, Stati Uniti, Corea e Spagna, mentre nel Regno Unito, Svezia, Austria, Norvegia, Russia e Portogallo il livello si posiziona al di sotto di sei anni prima.
Uno sguardo di lungo periodo evidenzia come, nel complesso, negli ultimi dieci anni l’andamento del VC abbia seguito un trend diverso tra le grandi aree: negli Stati Uniti si è registrata un’accelerazione a partire dal 2012, mentre il livello in Europa è rimasto pressoché invariato dal 2009 registrando anzi una contrazione rispetto al 2007-08. Alcuni autori fanno risalire la diversa dinamica della variabile all’opportunità da parte dei fondi pensione statunitensi di investire in VC, possibilità non consentita a quelli di molti paesi europei.
Rimane contenuta la quota di imprese nate in un determinato anno che beneficiano di operazioni di VC: nel 2016, nella maggior parte dei pesi Ocse il livello è inferiore all’1% con poche eccezioni tra cui Stati Uniti (2,1%), Belgio (1,6%) e Finlandia (1,1%). I comparti che maggiormente beneficiano di investimenti di venture capital sono quelli dell’ICT e delle biotecnologie: 54% l’incidenza del primo settore negli Stati Uniti, 44% in Europa; 21% la quota attratta dal segmento delle biotecnologie negli USA, del 27% in Europa.

Italia: un comparto promettente
Con l’emanazione dello Startup Act nel dicembre del 2012, l’articolata normativa a sostegno dell’imprenditoria innovativa, l’Italia si colloca al secondo posto per adozione di raccomandazioni suggerite dalla Commissione europea per la creazione di un contesto favorevole allo sviluppo di giovani imprese innovative. Oltre a definire i requisiti per lo status di startup innovativa, il Ministero per lo Sviluppo Economico ha emanato numerose misure di agevolazione per sostenere questa tipologia di impresa. In aggiunta a quelle di natura amministrativa e fiscale ve ne sono diverse tese a facilitare la ricerca di fonti di finanziamento.
A circa quattro anni di distanza il comparto registra diversi risultati positivi: le imprese innovative iscritte nella sezione speciale hanno raggiunto le 7.854 unità (set. 2017), il 23% in più rispetto all’anno precedente dando lavoro a circa 40.000 persone tra soci e
dipendenti. Uno sguardo ad alcuni dati di bilancio riferiti al 2016 ne evidenzia la forte dinamica tendenziale: l’attivo medio è pari a poco più di €272mila (+22,5%), il fatturato a oltre €726 mln (+75,4%). Tuttavia, come può accadere nei primi anni di avvio di una attività imprenditoriale, non mancano le voci precedute dal segno meno come il caso del reddito operativo (-€83,7 mln contro i -€63,5 mln del 2015) e la conseguente negatività degli indicatori di redditività (ROI e ROE a -0,08 e -0,24 rispettivamente). Se si considerano le sole startup in utile gli analoghi indicatori risultano positivi anche se su livelli piuttosto contenuti (ROI a +0,11% e ROE a +0,25%).
Importante anche il sostegno del Fondo centrale di garanzia di cui hanno beneficiato, a giugno scorso, 1.784 startup innovative (1.050 l’anno precedente) per un finanziamento medio pari a €242mila (€253 a giugno 2016). Nel complesso i prestiti erogati con la garanzia del Fondo hanno raggiunto i €741 mln e le ultime rilevazioni confermano come il tasso di sofferenza sia particolarmente contenuto: solo l’1% degli importi finanziati alle startup innovative contro il 6,3% di quelli erogati alle società di capitali che ricorrono all’operatività del FCG.